Miscela d’Aromi: Alla scoperta della Ricca Trama del Caffè attraverso le fragranze

2023 . 11 . 10 | scritto da Ermano Picco

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A proposito delle origini, ci sono almeno due piaceri che l’umanità deve alle capre ed entrambe sono fragranti e inebrianti al punto da creare dipendenza. La prima è il labdano, una resina che essuda da una pianta chiamata cistus ladanifer, un arbusto onnipresente lungo le coste del mediterraneo. Nelle sue Historie, Erodoto dice a proposito del labdano “È raccolto dalla barba delle capre, dove resta appiccicato come gomma”. Egli descrive anche con dovizia di particolare come i pastori lo prelevassero pettinando il vello delle capre che adoravano pascolare nel cisto, strusciandocisi contro. Infatti, verosimilmente la fragranza ammaliante del labdano fu scoperta annusando le greggi.


La seconda è il caffè la cui storia ha inizio intorno al 850 DC nelle verdeggianti colline dell’Etiopia. Secondo la leggenda, un giovane pastore di capre di nome Kaldi scoprì gli effetti rinvigorenti dei chicchi di caffè osservando che le sue capre si comportavano in modo strano. Contrariamente al loro solito carattere mansueto, avevano preso a saltellare, far capriole e danzare. La carica che avevano era tale da non dormire la notte! In prima battuta Kaldi pensò che fossero possedute, ma dopo alcune ricerche Kaldi scoprì che le capre avevano brucato delle bacche rosse da alcuni arbusti insoliti. In un impeto audace, Kaldi decise di provare lui stesso le bacche. Dopo averne assaggiate alcune, si unì alle capre in danze, salti e capriole diventando il custode di capre più pimpante del circondario! In seguito, un monaco che passava si fermò ad osservare Kaldi e le capre danzanti. Incuriosito, si fermò per vedere che stava accadendo. Kaldi gli raccontò delle bacche rosse ed il monaco si convinse di aver trovato la risposta alle sue preghiere. Spiegò a Kaldi che era solito cadere nel sonno a metà delle sue preghiere. Dopo aver assunto le misteriose bacche rosse, riusciva a stare sveglio! Stette sveglio per ore ed ore, pregando in uno stato di estasi come aveva sempre desiderato.

Pianta del caffe

La parola stessa caffè deriva da Kaffa, la regione etiope da cui si è diffusa la nomea delle proprietà stimolanti del caffè attraverso la penisola arabica, guadagnando popolarità nelle comunità islamiche. Entro il XV secolo, il caffè si era fatto strada fra le caffetterie affollate di Costantinopoli (la prima nota come Kiva Han risale al 1475!) dando vita a una rivoluzione culturale.

Le caffetterie o "penny universities", come venivano chiamate spesso perché pagando solo un penny potevi ascoltare vere e proprie lezioni, sono sorte nell’Europa del XVII secolo come ritrovi intellettuali dove svariate menti si incontravano per discutere le loro idee davanti a una tazzina di caffè ed alcune di loro sono rinomate ancora oggi. La più antica è Tahmis Kahvesi a Gaziantep in Anatolia che ha aperto le sue porte nel 1635 e ancora oggi serve il tradizionale menengic khavesi, sublime specialità aromatizzata al pistacchio. Parigi tiene alta la bandiera con la seconda caffetteria più antica ancora in attività, il Café Procope fondato dall’immigrato siciliano Procopio Francesco Cutò nel 1686. Da allora, molti personaggi da Voltaire e Diderot, fino a Victor Hugo e Honoré de Balzac sono passati di là per un caffè. La terza passata alla storia è il Caffé Florian fondato a Venezia nel 1720. Le sue sale dove si rincorrono enormi specchi e pannelli decorati hanno visto le avventure galanti di Casanova e le pene d’amore di Foscolo, oltre alle meditazioni di Goethe, Lord Byron e Oscar Wilde. Non dimentichiamoci poi di Goldoni che intitolò un celebre soggetto teatrale del 1736 “La bottega del caffè”.

Cafe Procope, Paris
Caffe Florian, Venezia
Una tazza fumante

La popolarità della bevanda è cresciuta esponenzialmente, portando all’insediamento di piantagioni di caffè nelle colonie. La "mania del caffè " è sbarcata nel nuovo mondo, ponendo le basi per lo sviluppo di piantagioni di caffè nei Caraibi e nel centro e sud America.

Sebbene il secolo scorso abbia assistito alla diffusione del caffè come prodotto globale, oggi mentre buttate giù un caffè in una torrefazione tradizionale o lo sorseggiate in una catena mondiale come Starbucks che ha sdoganato il caffè come bevanda da passeggio, vi chiedete mai come venga coltivato o raccolto il caffè? Sapete quando fiorisce? Molti consumatori non ne hanno idea.

La pianta del caffè appartiene alla famiglia delle rubiacee e, come le inebrianti gardenia e bouvardia, esistono diverse specie fra cui le più conosciute sono l’Arabica originaria dell’Etiopia e la Robusta, scoperta più recentemente il secolo scorso in Congo. Ne esistono poi delle altre identificate più recentemente. Naturalmente ogni specie ha il suo profilo organolettico che dipende dalla varietà e dalla provenienza, secondo la biodiversità che la circonda.

Ahimè, non abbiamo sufficiente educazione per comprendere queste sfumature anche perché il caffè che siamo abituati a bere è perlopiù una miscela di diverse specie. Durante la fugace fioritura, il fiore del caffè emana la dolcezza ipnotica tipica del fiori bianchi come il gelsomino, ma diventa velocemente una bacca matura simile ad una ciliegia di cui vengono utilizzati i noccioli. I semi sono poi estratti mediante essicazione i spremitura (caffè naturale), o mediante lavaggio e fermentazione (caffè lavato). Questi due metodi hanno un risultato completamente diverso come aroma, ma sempre incredibilmente ricco: nel profumo del caffè sono presenti circa ottocento molecole odoranti, almeno quattro volte quelle presenti nel profilo olfattivo del vino. Quindi più l’aroma è ricco, maggiore è la qualità.

Per capire meglio la magia che il caffè ed il suo aroma compiono sull’umore e sul nostro cervello, quale mezzo migliore se non chiedere alla Neuroscienziata, o Neurosmellist come preferisce definirsi Anna D’Errico, autrice di varie pubblicazioni fra cui il suo ultimo libro Profumo di niente incentrato sull’incremento dell’anosmia durante la pandemia.

Ciao Anna, per cominciare parliamo dei chicchi di caffè che ci offrono in profumeria per "pulire il naso" fra una fragranza e l'altra. Qualcuno è convinto abbiano proprietà magiche, come funzionano?

A: Nella scienza, ma in verità in qualunque approccio “investigativo”, c’è un principio fondamentale, ossia: prima di arrovellarsi e cercare disperatamente la spiegazione di un dato fenomeno accertatevi che quel fenomeno esista davvero. Ecco, con il caffè fatto annusare per “resettare” il naso è così. È un gesto attraente, conferisce un ché di rituale, ma non ha alcun senso scientifico. Nel caffè ci sono almeno 800 diverse molecole aromatiche che, tutte insieme, contribuiscono alle sue caratteristiche olfattive. I recettori olfattivi percepiscono tutte le molecole olfattive e non c’è base scientifica per cui annusare il caffè dovrebbe in qualche modo cambiarne il funzionamento. Ciò che accade è un meccanismo principalmente psicologico e legato al tipo di odore. Quando annusiamo qualcosa, dopo qualche momento i recettori olfattivi vanno naturalmente in stand-by per qualche tempo e non rispondono più agli odori. Questo avviene perché l’olfatto, essendo un senso di allerta, è più sensibile ai cambi di odore nell’ambiente, per cui, quando si è sottoposti a odori per un tempo continuativo, inizia a rispondere meno. In più, generalmente le fragranze sono in fase alcolica, e questo può far seccare leggermente le mucose nasali e rendere l’annusamento più faticoso. La sensazione di “pulitura” del caffè dipende semplicemente dal fatto che esso ha un odore che non ha la presenza di alcol ed è diverso da quello dei profumi. Quindi il cambio di odore, viene percepito come diverso. Se invece di annusare il caffè vi annusaste l’interno del gomito, o usciste un momento all’aria aperta, otterreste lo stesso risultato.

Anna d'Errico

"Quando mi sveglio mando tutti a quel paese. Dopo il caffè è uguale, ma divento più svelto". Bere caffè dà sprint grazie alla caffeina, ma già solo il suo aroma fa miracoli. Come lo spiega la scienza?

A: Gli odori riescono a lasciare nelle nostre esperienze un’impronta molto forte legata sia alle emozioni provate che al significato che vi attribuiamo. Bere e assaporare caffè è profondamente radicato nella nostra cultura, ha una componente rituale che ne amplifica il valore. Inoltre, il cervello è abituato ad associarlo appunto alla sveglia del mattino e all’effetto energizzante, di conseguenza il suo aroma – un po’ come “l’effetto Pavlov” dei cani, è capace di innescare immediatamente l’associazione con il rituale del risveglio potenziando l’effetto fisiologico della caffeina.

Chi ti segue sa che viaggi spesso tra Italia e Germania, tua patria d'adozione e non fatico ad immaginarti a caccia di un espresso... Come cambiano fra italiani e tedeschi il consumo e la percezione del caffè ?

A: Devo fare una confessione…amo il caffè lungo alla tedesca e lo bevo ormai più dell’espresso! In realtà apprezzo entrambi e bevo uno o l’altro anche a seconda della situazione. In effetti ci sono notevoli differenze culturali, che rispecchiano anche stili diversi, a partire da come il tradizionale bar è concepito. Il bar, inteso come posto in cui transitare velocemente, fermarsi al bancone e bere un ‘espresso al volo, è un concetto, per così dire, assolutamente italiano. All’estero, non solo in Germania, ci sono i “caffè”, che in un certo senso sono più simili alle sale da tè o ai nostri caffè storici come approccio: le persone ci vanno per sedersi, bere e passare del tempo. Di conseguenza anche il caffè segue questi ritmi, diventa lungo, spesso accompagnato al latte, meglio ancora nella forma di cappuccino. Piccola nota curiosa, all’estero il cappuccino, forse più ancora dell’espresso, viene apprezzato in modo particolare, è una bevanda percepita come piacevole e “sfiziosa”, e per questo viene bevuta a ogni ora, mentre da noi esso è culturalmente associato alla colazione. Di nuovo, l’apprezzamento degli aromi va di pari passo con le tradizioni culturali e le abitudini.

Dalla scienza all’impresa, parliamo dell’aroma del caffè e di come gustarlo al meglio, oltre a come differenti varietà e miscele di caffè possano determinare un aroma completamente diverso. Per saperne di più, sono felice di confrontarmi sull’argomento con Marco Bazzara, CEO di Bazzara S.r.l che da tre generazioni rappresenta un’eccellenza del caffè. Marco non è solo un formatore autorizzato della Specialty Coffee Association (SCA), un Q-grader (cioè un professionista in grado di fare la valutazione sensoriale del caffè non tostato)e un sommelier, ma più recentemente si è avvicinato alla composizione di fragranze e all’aromaterapia. Ultimo ma non secondario, ha anche fondato la Bazzara Academy che è il ramo didattico dell’azienda che dal 2017 offre programmi formativi sia ai professionisti che ai semplici appassionati.

Marco Bazzara

Ciao Marco, in Italia tendiamo a considerarci un po’ degli esperti. Iniziamo rendendoci conto magari che non è esattamente così. Come possiamo capire che ci stanno servendo un buon caffè?

M: Innanzitutto, ancora prima di bere il nostro caffè, possiamo capire molto osservando il barista mentre lo prepara. Primo, i chicchi di caffè nel serbatoio della macchina non devono essere eccessivamente scuri, che significa che non sono troppo ossidati e che c’è un continuo ricambio. Poi la superficie interna del contenitore trasparente dovrebbe essere leggermente oleosa ad indicare che i chicchi sono ricchi di olii aromatici e non sono troppo secchi. Lo stato generale della macchina stessa è importante, perché molti dei difetti indesiderati del caffè, come un retrogusto amaro e bruciacchiato, sono dati dai rimasugli presenti. Un indizio sulla buona manutenzione della macchina si ha guardando la lancia a vapore per schiumare il latte. Se è coperta da uno strato spesso di latte essiccato, non è mai un buon segno.
Poi guardando alla crema e sentendo l’aroma del caffè possiamo capire ancora di più. Per esempio, alcuni usano questa regola: se metti un cucchiaino di zucchero sulla crema e questo non affonda, allora il caffè è buono. Questa è quello che si crede comunemente fra i nostri clienti dell’Est Europa, ma non è esattamente vero. Per esempio il caffè di varietà Robusta tende ad avere più carboidrati e ad incamerare più bolle d’aria, perciò forma una crema più densa. La trama però è più grossolana è l’aroma è meno ricco di quello della varietà Arabica. Quindi una buona miscela il più delle volte è la scelta ottimale in questo contesto.

Da valutatore, esperto degustatore e miscelatore di caffè, come impattano sull’aroma finale le diverse varietà di caffè, la loro provenienza e la lavorazione?

M: Come per i vini, l’incidenza della varietà, della provenienza e del metodo di lavorazione sono determinanti per il risultato finale. Per esempio lo si può capire bene provando i nostro Luxury Blend che ho appositamente immaginato come un viaggio intorno al mondo fra le delizie del caffè. Questa è la haute parfumerie del caffè in un certo senso, dove ciascuna miscela è ispirata ad uno specifico continente. Il viaggio ha inizio dalle radici del caffè con Panafricana, una miscela 100% Arabica che porta a riscoprire tutti i profumi e le sfumature del continente africano, combinati in un caffè dall'indole selvaggia e dal gusto inimitabile. Risveglia l'alleanza primordiale tra l'uomo e la natura attraverso i sentori minerali delle calde terre africane da cui affiorano vivaci note agrumate e vinose. Approdando in America, ripercorriamo l’antica rotta Panamericana riscoprendo la passione e i profumi che la colorano. Accenti di frutta esotica e polpa di cacao si fondono con le note mielate della pasticceria, regalando un sapore dolce ed equilibrato a una miscela unica. L’ultimo avventuroso scalo è l’Asia, lungo l'antica via delle spezie permette di assaporare la ricchezza e il profumo della tradizione orientale in una miscela 100% Arabica. In una corposità sciroppata si riconciliano i sentori audaci delle vette del Nepal, i frutti delle lussureggianti foreste indonesiane e un avvolgente finale pepato che richiama le spezie dei mercati indiani.

Immagino la tua azienda operi in diversi mercati. Da esperto compositore di miscele di caffè, come crei un blend e quanto tieni d’occhio le preferenze di ciascun mercato?

M: Come forse sai, quando parliamo di gusto per il caffè, in realtà dovremmo parlare di aroma dato che l’80% circa è dovuto all’olfatto. Siccome le molecole odoranti che compongono l’aroma del caffè sono più di 800, puoi facilmente capire che comporre una miscela è come comporre un profumo.
Bazzara opera principalmente con mercati esteri e serve principalmente la nicchia di qualità altissima, per cui è importante conoscere e prendere in considerazione i gusti dei clienti. L’azienda è stata fondata a Trieste nel 1966 e mio padre è molto orgoglioso (e un po’ nostalgico) della fortissima tradizione per il caffè di qualità eccellente. Essere qui significa anche rappresentare un punto strategico per il dialogo con paesi stranieri. I nostri mercati di riferimento sono l’Europa dell’est dove i caffè con tostatura più marcata e una maggiore percentuale di Robusta hanno un buon riscontro, oppure l’Europa del nord dove preferiscono delle miscele 100% Arabica dall’aroma più morbido e complesso, quasi fossero dei the per intenditori. L’Italia sta nel mezzo e, per essere precisi, al sud si preferisce ancora un aroma più tostato mentre al nord piace maggiormente una miscela più morbida e nocciolata.

Nonostante suoni familare parlare del profumo del caffè, la nota è entrata a far parte della tavolozza del profumiere solo negli ultimi decenni. La prima estrazione di caffè ad entrare nell’organo del profumiere è stata l’assoluta di caffè ottenuta classicamente dai chicchi torrefatti mediante solventi volatili. Il risultato è inebriante, liquoroso con evidenti sfaccettature di nocciola ed accenti grigliati. Più di recente, ma con meno facilità si trova anche l’essenza di caffè prodotta per distillazione. Il profilo è aromatico con marcate tonalità di liquirizia, cioccolato amaro e tostatura, oltre alla untuosità del sesamo. Le materie naturali più recenti a disposizione sono certamente le estrazioni supercritiche come l’estratto di caffè CO2 che presenta un profilo molto complesso in cui tutte le sfumature menzionate si armonizzano. Inoltre il profumo del caffè ha alimentato la ricerca di materie prime di sintesi, espandendo ulteriormente la gamma del profumiere con molecole come i mercaptani (metallici), le pirazine (nocciolate) e le specialità come il legnosissimo mokawood di Mane.

Parlando di profumi, sembra che i profumieri abbiano esitato a lungo sul caffè come nota, probabilmente perché tende a prendere il sopravvento quando lo si mette in composizione. Ecco perché ha debuttato nella profumeria di nicchia ma ci ha messo qualche decade ad invadere gli scaffali delle profumerie commerciali attraverso ambrati di successo commerciale. Per concludere, ecco un excursus fra alcune fragranze iconiche che hanno fatto strada nel comparto gourmand consacrando il caffè come nota essenziale in profumeria.

Tutto ha inizio nel 1980 da L’Artisan Parfumeur dove il genio di Jean François Laporte ha immaginato L’Eau du Navigateur. Con un giovane Jean-Claude Ellena, concepirono un profumo ispirato alle “spezie scoperte dai navigatori coraggiosi stipate nelle stive delle caravelle” e ai “legni esotici, resine intense e caffè” come recita lo storytelling ufficiale. Da una nuvola di spezie colorate nelle battute di apertura, lentamente emerge la voce calda e imponente del caffè a segnare col suo registro tostato e amarognolo l’intera evoluzione della fragranza. Mirra e legno di cedro accompagnano come un violoncello svelando accenni di cuoio e tabacco. Così il caffè ha fatto la sua entrata trionfale nella profumeria artistica.

Nel 1996 il caffè sbarca nei profumi commerciali grazie allo stilista d’avanguardia Thierry Mugler. Quattro anni dopo il rivoluzionario Angel di Olivier Cresp, la sua controparte maschile A*Men composta da Jacques Huclier sovverte i canoni della profumeria maschile. L’apertura metallica, fredda ed aromatica di menta e lavanda si contrappone all’animo dolcissimo ed appiccicoso della fragranza zeppa di ambra, caramello, latte e miele. Caffè e patchouli si incastrano a perfezione portando equilibrio con le loro sfumature verdi, terrose, tostate ed amarognole. Per la prima volta il caffè viene usato nel profumo di una casa di moda, arrivando ad un pubblico più ampio.

Thierry Mugler, A*Men

Il marchio mondiale Lush nel 2004 ha lanciato uno dei suoi top seller ancora in produzione oggi, Dear John. Il co-fondatore Mark Constantine ha confessato di essersi ispirato alle sue ferite da imprenditore, dato che da bambino venne abbandonato dal padre. Perciò la fragranza è un omaggio al padre che ha perduto e a tutti gli uomini cari. Il mix corroborante di agrumi e spezie apre la strada ad un accordo maschile familare di cedro, vetiver e morbido caffè tostato che porta alla mente ricordi familiari di uomini sbarbati di fresco, tazze di caffè al mattino, annotazioni nostalgiche sui calendari e matite temperate. Così sdoganato nella fragranza, il caffè fu servito finalmente come nota popolare fra le masse.

La lista potrebbe continuare ad oltranza dato che il caffè è entrato nelle piramidi di moltissime composizioni, in associazioni più ovvie con note gourmand come vaniglia, cioccolato e caramello o sfumature di frutta secca come nocciola e fava tonka ma ha dimostrato di sposarsi bene anche con le spezie fredde come il cardamomo ed il pepe nero o quelle calde come cannella e zafferano che apportano trama e profondità. I legni come sandalo e patchouli stanno al caffè come il cacio sui maccheroni e perfino le note animali stanno a meraviglia come lo zibetto che lo rende ipnotico e mielato. Gli accostamenti più inaspettati però sono la lavanda e l’incenso che aggiungono entrambi una freschezza originale e moderna. Nell’ultimo decennio sono nate perfino intere collezioni di fragranze che ruotano intorno al caffè come quella di Maison Tahité, la linea Coffee Break di Xerjioff e quella di O Boticario, eppure c’è ancora molto da esplorare con un aroma così complesso ed intrigante che non possiamo fare a meno di augurarci un futuro nero, amaro e bollente!